Prefazione
“Il mio nome è Nessuno” vorrebbe essere un invito generalizzato a dare un’occhiata al cielo in una notte stellata e a rendersi conto della nostra microscopicità.
Vorrebbe essere altresì un ulteriore invito a guardarsi intorno per rendersi conto dell’infinita e variegata collezione di umanità improbabili e di realtà inventate che ci circondano, ci accarezzano (raramente) ci calpestano (il più delle volte) nell’ottica di una sopravvivenza disperata che vive di allucinazioni e di fraintendimenti.
Un libro senza speranza dunque?
No, un libro tranquillamente pragmatico e amorevolmente provocatorio. Chiunque si ritrovi nelle osservazioni e negli artigianali ragionamenti che ho voluto condividere, faccia uno sforzo di coscienza e poi si comporti ancora come meglio gli aggrada che tanto fa lo stesso.
Se mi è permesso un consiglio, alla luce del confronto di opinioni che dovrebbe nascere dalla lettura, veda di non mettersi in condizione di dover subire un qualche anatema, dedicato. Sono offerte votive che hanno bisogno di un tempio adeguato per non appestare l’aria con la loro putrefazione. Per tutto il resto vale sempre il discorso che collaborare con l’imponderabile è l’unica possibilità che ci resta per nutrire la speranza di poter morire vivi.
Se voi state bene, io sto bene.
MaBo.
Alcuni brani del libro
LA DEPRESSIONE E’ UNA BRUTTA BESTIA
Se sei una persona di media adeguatezza e immagini di poter stare seduto sul bordo di un marciapiede in attesa che ti venga dato quello che ti spetta per diritto di nascita, datti una regolata.
Potresti partire dalla considerazione che qualcuno, quel marciapiede l’ha fatto e tu “gratis” ti sei arrogato il diritto di potertici sedere.
E’ certo vero e assodato che tu non hai scelto di essere messo in quella condizione; ma è altrettanto vero ed assodato che “esisti”; il massimo dei diritti che ti spettano è quello di guardarti in giro e darti da fare per sentirti vivo, libero e in armonia con te stesso e con gli altri.
Se non assolvi a questo dovere, un giorno o l’altro una macchina addetta alla pulizia delle strade ti tratterà per quello che sei: spazzatura che sporca il marciapiede.
– Ma io sono un essere umano e ho il diritto di essere trattato come tale! –
Un mucchio di intellettuali frustrati e megalomani lo va raccontando per acquisire la qualifica di intelligenti buonisti; un mucchio di filosofi sposati male ha pontificato la sublimazione della propria insoddisfazione esistenziale; mille religioni hanno cavalcato questa ipotesi di lavoro a spese dei propri accoliti e/o fedeli.
Io, da consapevole mucca di Giove ti ripeto: l’unico modo per pretendere e ottenere i cosiddetti propri diritti è l’assolvimento dei propri ineluttabili doveri; primo fra tutti quello di mettersi nella condizione di sapere per capire e di capire per fare. Solo il fare ti può permettere di riconciliarti con l’estrema ingiustizia di non aver potuto partecipare alla scelta di venire al mondo, ovvero di scontrarti con chiunque non la pensi come te.
A conti fatti, sic stantibus rebus, la scelta migliore se si vuole sopravvivere è combattere; se non si vuole sopravvivere di mezzi per autoeliminarsi ce n’è a bizzeffe; chissà perché?
Per quanto mi riguarda non credo che permetterò a una qualsiasi scelta d’altri di obbligarmi a scappare da una qualsivoglia realtà, anche la più deprimente. Questo è l’ostacolo e questo è il salto da fare per superarlo. Soltanto dopo saprò se ne valeva la pena.
E se concluderò che non ne valeva la pena, pace amen e proprio per il fatto che non ho scelto io di mettermi in gioco “a monte”. Così mi conquisto almeno un divano e seduto su quello guardo dalla finestra la macchina spazzatrice che ripulisce la strada da quelli che hanno scelto di stare seduti sui marciapiedi. Cinismo da intellettuale mancato?
Se vuoi, sì. Ma come fai a giudicarmi dal marciapiede su cui sei seduto?
Senza dimenticare che ogni giudizio può al massimo essere un punto di vista relativo a invenzioni personali o istituzionalizzate che lasciano il tempo che trovano finchè non avranno trovato una risposta soddisfacente alla domanda: al di là di tutto perché sono al mondo?
Valga un ulteriore approfondimento: chi sono, da dove vengo, dove vado….. e perché?
E adesso mi faccio un caffè.
ESAGERAZIONI
Ho sognato che su tutta la Terra, i bambini nascevano unici, insostituibili, meravigliosi, liberi e sorridenti.
Ho sognato che da tutti i vocabolari veniva cancellata la parola violenza.
Ho sognato che tutti gli adulti del Mondo avevano fatto, nei propri limiti, tutto quello che potevano per diventare cittadini adeguati del Villaggio Globale.
Ho sognato che una multinazionale aveva deciso di produrre e cedere a buon prezzo lattine di buon senso.
Ho sognato che l’altruismo veniva inserito nel Dettato Costituzionale.
Mi ha svegliato il rumore di un aspirapolvere e ho pianto le ultime due lacrime che mi erano rimaste.
Mi sono riassopito e ho sognato che nel 2009 ogni persona che si occupa di promozione sociale presentava all’associazione di appartenenza due nuovi soci.
Mi si sono arricciati i baffi e ho pensato: questo si può fare.
CONCLUSIONE FELICE
Eureka! Finalmente, forse ho capito perché spesso e volentieri quando mi capita di rileggermi, mi tocca la fatica di doverlo fare per più di una volta; e non sempre il risultato è poi tanto chiaro. Molti dei miei pensieri, se così si possono chiamare, sono scritti allo specchio.
– E allora? – E allora niente è una conclusione cui sono arrivato e ho voluto condividerla con voi. Soprattutto con Carlo et alias.
Così fintantoché continueranno a darsi da fare per dedicare sentimenti, emozioni e considerazioni ad altri, sappiano che spesso qualcuno ci mette del tempo per immaginare di poter capire che a volte anche i pensieri possono essere scritti in uno specchio.
– Se dici, in quello dell’anima ti cancello l’ombellico! – Ciao e vedete di star bene: almeno voi.
* * *
Ho sempre apprezzato le persone che dicono quello che pensano; il problema sorge quando lo dicono senza pensare.
PER QUANTO NON DOVUTO
Ho sempre predicato che ognuno è libero di suicidarsi come vuole, purchè non sporchi il tappeto mio o di qualcun altro.
Con questa premessa, immaginarsi che io possa o voglia dare giudizi, imporre consigli, o preoccuparmi dei giudizi degli altri è almeno ingenuo, quando non inadeguato.
Quanto sopra premesso l’unica cosa che mi fa ancora male è vedere qualcuno che si dà da fare per darmi addosso nei modi più diversi.
Quello che queste persone non sanno è che quello che fanno contro di me lo stanno facendo, e se ne renderanno conto quando
sarà troppo tardi, contro sé stessi. Sono stato abbastanza chiaro o ho scritto per l’ennesima volta ancora difficile? De hoc satis; se voi state bene ne sono provocatoriamente contento per voi.
MaBo.
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