teoremabigUn capitolo del libro

CONTROLLARE LE EMOZIONI

   «Adesso affronteremo un argomento che non interessa quasi a nessuno: il controllo delle emozioni» – iniziò a dire Ma.Bo, ad un certo punto, durante il mio primo Seminar.

                Silenzio generale, rotto da qualche sorriso di compiacenza.

                «Bene, di solito, cosa intendiamo per controllare le emozioni?» – chiese Ma.Bo.

                «Mah, forse il trattenere le emozioni»– rispose un allievo.

                «Vero – rispose Ma.Bo. – quando si parla di controllo emozionale lo si associa al trattenere oppure al reprimere le emozioni; ma il vero significato del controllo emozionale è quello di scegliere le emozioni, non reprimerle. Ogni persona è dotata, sin da quando nasce, di una gamma di emozioni vastissima; chiunque è in grado di provare gioia, rabbia, paura, entusiasmo, tristezza, coraggio, imbarazzo, ecc., ma dove sta il problema? Sta nel fatto che troppo  spesso si manifestano emozioni non adeguate all’esperienza che si sta vivendo. Vorremmo essere decisi e ci mostriamo titubanti; vorremmo essere spontanei e ci mostriamo rigidi, come se fossimo dei pezzi di legno».

                Fu come quando giocavo a battaglia navale, a scuola, invece di ascoltare il professore. “C6”, colpito e affondato. Era il mio problema (neanche l’unico, peraltro). La mia attenzione divenne massima.

                «Per il controllo emozionale, immaginatevi un pendolo – proseguì Ma.Bo. – Il pendolo va da un estremo all’altro, con continuità. Ecco, le nostre emozioni possono essere associate all’escursione del pendolo; dalla più sensibile, da una parte, alla più decisa, dall’altra. Cosa succede, a volte?»– chiese Ma.Bo.

                Il silenzio generale era più che indicativo dell’attenzione che c’era.

                «Succede che, o si ferma il proprio “pendolo”, e allora si vedono persone che non manifestano alcuna emozione, o gli si permette un’escursione molto limitata e allora si vedono persone che sono solo dure, “tutte di un pezzo”, come , “l’uomo che non deve chiedere mai”. Se invece l’escursione è limitata dall’altra parte, si vedono persone ipersensibili, “con il pianto in tasca”, anche quando non è proprio il caso di piangere. Cosa vuol dire controllare le emozioni? Vuol dire lasciare andare liberamente il proprio pendolo emozionale e imparare a “fermarlo” sul punto, cioè sull’emozione, che si vuole esprimere. Difficile?».

                Per me, difficilissimo; però, possibile. Se non altro perché imparai che l’ importante è  padroneggiare le mie emozioni ed esserne consapevole, senza lasciarmi, invece, sopraffare, dalle stesse. Utilizzando un’altra immagine, le emozioni possono essere paragonate ai cavalli di una diligenza; senza i cavalli, la diligenza non va da nessuna parte, ma se li si lascia andare a briglia sciolta, senza direzione, la diligenza non arriva certo nel posto desiderato. I “cavalli” emozionali vanno “diretti” verso le proprie mete, con decisione e, soprattutto, con consapevolezza.

                Un anno dopo una partita in cui sbagliai due tiri liberi a tempo scaduto, mi ritrovai in un’altra partita, a Rimini, praticamente decisiva per la promozione, nella stessa situazione; quando mi avvicinai alla linea dei tiri liberi, con il cuore che andava a mille, il pensiero tornò a Bologna, un anno prima. Per fortuna, a quel punto qualcosa sapevo, di più, sul controllo emozionale. Rapidamente, visualizzai il colore che Ma.Bo. mi aveva insegnato per “agganciare” il controllo emozionale e mi chiesi cosa volevo esprimere. “Voglio essere sicuro” – mi dissi -“tenere il braccio dritto e far girare la palla”. Segnai il primo, e pure il secondo tiro libero. Al di là della vittoria, la mia soddisfazione fu immensa; avevo sempre pensato che il mio “problema” emozionale fosse insuperabile, dal momento che mi consideravo sempre “troppo” teso, nervoso, sensibile, morbido e troppo raramente nella “sintonia” giusta.

                Così come per uno sportivo, che per una qualsiasi altra persona, il non avere controllo emozionale equivale ad andare a fare una gara di formula 1 con una “cinquecento”; niente da dire contro le “cinquecento”, solo che, con una “cinquecento” , forse è meglio non partecipare alle gare di formula 1. La cosa per me strabiliante, allora, fu scoprire che anch’io avevo un pendolo emozionale e che anch’io potevo esprimere sicurezza, determinazione, sensibilità, entusiasmo, fiducia ecc. e che tanto più mantenevo il terreno “fertile”, cioè rimanevo rilassato, tanto meglio riuscivo a esprimere emozioni. Sembrerebbe un controsenso, ma non lo è. L’emozione è un modo di sentire, ed il sentire si sviluppa nel “terreno” del rilassamento.

                Per me, è stato difficilissimo anche solo immaginarmi di poter riuscire a controllare le mie emozioni; la mia tendenza era infatti quella di reprimerle, ed il risultato fu il buco allo stomaco della mia ulcera. Ricordo che un giorno, dopo aver compreso che per esprimere le mie emozioni era necessario averne le sensazioni, chiesi a Marcello:

                «Ma come si fa a sentire?».

                «Non ti posso aiutare. A sentire, si impara da soli» – mi rispose.

               Qualche anno dopo, scoperto il “segreto” del  “sentire”, mi “vergognai” al solo pensiero di avergli fatto quella domanda e mi “stupii” della risposta di Ma.Bo., gentile e comprensiva. Forse, Ma.Bo. sapeva bene che il mio vero problema era accettare di essere capace di arrivarci da solo, senza sconti e facilitazioni mentre, peraltro, nell’esperienza sportiva nella quale ero coinvolto, gli sconti e le facilitazioni, erano praticamente un’abitudine, laddove tantissime cose  ti erano in qualche modo dovute.

                Ed è anche per questo che lo sport, interpretato in quel modo, tutto fa fuorchè aiutarti a divenire, e rimanere, una persona normale, come chiunque altra, anche quando si sono spente le “luci” della ribalta. Ma anche per “capire” questo passaggio è necessario “sentire”.

                Ma come si fa a sentire? …

  Un brano motivazionale del libro

“Ma, esiste il Paradiso?”

Certo che esiste, è là dove si avverano i sogni.
E poi, c’è anche il Purgatorio, che è il luogo in cui, i sogni sono sempre lì,lì, per avverarsi ma solo raramente lo fanno.
Poco più sotto c’è l’Inferno in cui, nessun sogno si avvera mai.
La geografia del  mondo dei sogni è completata dal Limbo; lì, i sogni stanno sospesi a mezz’aria, in attesa di destinazione; verso il Paradiso, il Purgatorio o, quando proprio gli va male, all’Inferno.
“Ma, se uno ai sogni non ci crede?”.
Se uno ai sogni non ci crede, spariscono sia il Paradiso, che il Purgatorio che il Limbo.
“Hai dimenticato l’Inferno”.
No, non l’ho dimenticato, quello resta: è il ghetto di tutti quelli che, ai sogni non ci credono più.

                                                                                            Marcello Bonazzola

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